Humus è una rete di organizzazioni agrobiologiche impegnate in diverse regioni d’Italia a proseguire l’esperienza intrapresa con convinzione ormai oltre venti anni fa. Ci sentiamo parte di una generazione cresciuta e maturata nello slancio culturale ed ideale dell’agricoltura biologica italiana (nel contesto più ampio dell’Europa), che oggi riflette sugli esiti di un “movimento” che dopo aver proposto e dato vita concretamente al biologico nei contesti produttivi, distributivi e culturali-relazionali, si avvede di una realtà eccessivamente governata dalle politiche pubbliche e dagli interessi di mercato, in cui rischiano di disperdersi i valori di riferimento. Valori da cui discendono i risultati che fino adesso abbiamo conseguito.
Vediamo intorno a noi nascere, crescere ed entrare in contatto con noi, nuove esperienze e protagonismi, con i nostri medesimi valori e lo stesso bisogno di riconoscersi in un’economia sostenibile e solidale, diversa da quella dominante dei cosiddetti “consumi di massa”.
Ci siamo quindi ritrovati a ragionare insieme sul futuro dell’agricoltura biologica nel nostro paese. Ed abbiamo convenuto sulla necessità di dare forza ai principi ed ai valori costitutivi della bioagricoltura italiana, traducendo poi questi in metodi e strumenti di lavoro in grado di migliorare e rendere tangibile il lavoro di tanti produttori e tecnici ed allo stesso tempo condivisibile da parte dei destinatari finali, cioè i consumatori.
Sono obiettivi avvincenti quanto complessi da realizzare.
E tutti noi avvertiamo che non vi è altra strada da percorrere, pena rimanere schiacciati da un trend “burocratico” e “convenzionalizzato”, legato alla mera applicazione delle norme pubbliche vigenti ed al pensiero dominante dei marcati della grande distribuzione organizzata. Anche l’adozione di standard volontari e linee guida pensati ed elaborati nei paesi di esportazione dei prodotti, di valido interesse, risultano poco appropriati, perché poco aderenti alla realtà italiana e non in grado di determinare condivisioni ampie e diffuse nella nostra società.
Il percorso che abbiamo avviato, con la nostra comune riflessione, richiede quindi la capacità di mettere a fuoco principi, obiettivi ed azioni concrete. Per questo abbiamo messo in campo un livello organizzato di interazione, senza che questo venga a costituire ripetizione di modelli ed entità associative già esistenti. Abbiamo cioè promosso una “rete sociale”, una aggregazione orizzontale fra organizzazioni economiche ed associazioni civili, aperta anche al contributo di singoli soggetti esperti ed impegnati, basata sui valori che ci accomunano e protagonista di un percorso di condivisione e di approfondimento, in grado di dare luogo a nuovi sistemi di partecipazione dei vari soggetti protagonisti alle vicende dell’agricoltura biologica e del territorio rurale.
Alcune riflessioni sugli scenari che ci riguardano
I mercati dei prodotti biologici e del Fairtrade, stanno crescendo in tutto il mondo, sia nei paesi occidentali – anche in Italia nonostante la crisi – e nei paesi emergenti: dal Brasile alla Cina, dal Medio Oriente all’Africa. I prodotti biologici italiani di qualità sono sempre più apprezzati in tutti i mercati coerentemente con i nuovi trend di mercato che si stanno affermando, caratterizzati dall’attenzione verso prodotti di elevata qualità non solo intrinseca, ma anche rispetto alla sostenibilità ambientale e sociale delle aziende e dei loro prodotti.
Rispetto a questo fenomeno di crescita le evoluzioni delle normative europee ed il piano d’azione europeo per l’agricoltura biologica, lasciano intravedere opportunità e rischi. L’opportunità è che vi siano nuovi sistemi e strumenti di regolamentazione a favore delle piccole forme di agricoltura. Il rischio è che il settore sia ancora oggetto di una visione burocratica e minimalista, più attenta agli aspetti formali, che ai reali contenuti (ambientali, sociali, salutistici…), riducendo a pratica residuale le attività di controllo in campo.
In questi scenari di mercato e legislativi si evolvono le filiere di produzione.
Nello specifico della filiera alimentare sta ancora (sempre più) crescendo il peso della GDO su base internazionale, che regola la catena globale del valore tramite l’imposizione di standard caratterizzati da requisiti ambientali, igienici o sociali. Si tratta di sistemi sostanzialmente ancora basati sul modello dell’”agricoltura industriale” e che comportano anche un imponente peso economico ed ambientale delle piattaforme distributive, verso i produttori agricoli ed i consumatori.
I requisiti specificati dalla GDO per la produzione agroalimentare e la sua organizzazione stanno coinvolgendo anche l’agricoltura biologica, considerata fra le referenze possibili di sistemi distributivi creati intorno all’immagine totalizzante delle catene dei supermercati. Sempre più, quindi, le produzioni biologiche vengono assorbite nei canoni proposti, con un inquadramento nei sistemi di controllo e certificazione (parte seconda e parte terza) funzionali alla sola GDO e che si aggiungono a quelli già praticati dalle aziende.
Accanto alle catene della GDO moderna rimane sempre la presenza delle multinazionali dell’agroindustria, che oggi continuano a perseguire (a loro dire) una politica di innovazione finalizzata all’incremento delle derrate alimentari per far fronte alle necessità nutrizionali della crescente popolazione umana. L’attore principale di questa strategia è l’industria biotecnologia, che cerca di regolare e governare il sistema internazionale di produzione degli alimenti tramite il controllo proprietario della scienza e della tecnologia. Il rafforzamento dei regimi di proprietà intellettuale è il cambiamento istituzionale più importante. E’ una riproposizione con immagine green di un modello industriale già visto, ad esempio con l’assurda offerta delle piante OGM, che comporta semplificazione dei sistemi di produzione agricola, enormi rischi ambientali e dipendenza crescente delle aziende. Quindi ancora insostenibile.
Negli interstizi di questi due modelli, che si contendono i mercati e lo spazio della regolazione, uno scenario alternativo si sta affermando, basato su un sistema di produzione locale degli alimenti (locale per il locale, locale per il globale), che valorizza le diversità territoriali e culturali, catene alimentari più “corte”, qualità nutrizionali-organolettiche dei prodotti ed uno sviluppo agricolo attento alla sostenibilità ambientale, economica e sociale. I paesi mediterranei sono stati i più pronti a cogliere le opportunità offerte da questo sistema. Molti attori del comparto agroalimentare del nostro paese sono convinti che è su questo terreno che l’Italia può giocare con maggiori probabilità di successo le carte della sua competitività, anche perché una produzione locale condivisa degli alimenti è oggi il motivo che più interessa consumatori di diversa estrazione, anche quelli che per diverse ragioni non si sono ancora avvicinati al biologico.
Sul biologico italiano…
In Italia l’agricoltura biologica continua a crescere in termini di numero di aziende di produzione e prodotti distribuiti e consumati, anche in questi ultimi anni di crisi economica. Le difficoltà economiche non hanno determinato la riduzione dei consumi dei prodotti biologici in Europa ed in Italia. La qualità e la visibilità dei prodotti biologici è rimasta quindi fattore determinante delle scelte di milioni di consumatori.
Tuttavia il biologico italiano sta attualmente vivendo una fase di passaggio, in cui si sono affievolite (di fatto forse esaurite) le motivazioni e le condizioni sociali e culturali che ne hanno determinato la sua nascita e la crescita, senza che si siano affermati nuovi punti di riferimento (diversi dai mercati dominanti) in grado di dare ulteriore vitalità al “movimento” del biologico.
La revisione intervenuta con i Regg. CE 834/07 ed 889/08, sembrava potesse costituire una inversione di tendenza, verso il recupero dei valori, dei principi e delle buone pratiche della produzione biologica e sostenibile degli alimenti. Ma ciò non si è del tutto verificato. Questi regolamenti sono stati applicati nel nostro paese senza che si sia verificato un sostanziale rilancio dei sistemi di produzione e di controllo e, per giunta, sono stati poco o per niente promossi, valorizzati e comunicati ai consumatori per le loro finalità ambientali e salutistiche.
In questo scenario irrompono sempre più scandali legati a traffici illegali di materie prime e prodotti. Ultimo in ordine di tempo quello emerso nella recente trasmissione RAI Report, che ha ancora una volta documentato pratiche di gestione ed importazione illegale nel nostro paese di granaglie convenzionali spacciate per biologiche, nei confronti dei quali il sistema di controllo e certificazione (nel suo insieme) manifesta la sua sostanziale incapacità a fare da argine. Quello che di più grave che sta succedendo è che ci si espone sempre più al rischio della perdita di credibilità del sistema pubblico di garanzia, rispetto alle esigenze avanzate dagli operatori economici e dai consumatori.
A questi fenomeni di degenerazione della credibilità dei prodotti se ne aggiungono altri, di non meno gravità. In intere aree del paese parte rilevante dell’economia risulta interessata a fenomeni di sfruttamento della manodopera e di vera e propria infiltrazione malavitosa. Le filiere agroalimentari sono molto esposte a tali rischi, comprese le esperienze biologiche di produzione e distribuzione, soprattutto quando il loro sviluppo prescinde dal perseguimento dei valori della legalità ed alla giustizia.
Di fronte a queste tendenze l’agricoltura biologica italiana ha disperso la sua capacità di tutelare ed accrescere una propria identità, che pur si era determinata negli anni ‘80 con la nascita del movimento che si era richiamato intorno alla “Commissione ‘Cos’è biologico?’”. Prova ne sia il fatto che nel nostro paese oggi non sono diffusamente applicati standard di produzione avanzati, in grado di costituire punto di riferimento avanzato fra i sistemi di produzione delle aziende e di consumo dei cittadini, in contrasto con la deriva burocratica del sistema ufficiale di controllo e con le logiche impositive dei mercati dominanti.
Quindi…. Che fare?
Dalle considerazioni fatte ne deriva che un recupero di vitalità e di credibilità dell’agricoltura biologica italiana passa dalla possibilità di recuperare e rielaborare a livello nazionale (cioè del sistema-paese) una sua forte connotazione ambientale, salutistica e sociale. Un percorso di rielaborazione che deve vedere inevitabilmente il protagonismo delle parti più diffuse ed importanti, cioè i produttori e le loro organizzazioni ed i consumatori, singoli ed associati. Sono infatti i produttori agricoli ed i consumatori, insieme ai sistemi artigianali radicati sul territorio, che oggi rappresentano le parti più numerose e rappresentative della filiera di produzione e che oggi però subiscono il peso gravoso e le conseguenze di sistemi convenzionali logistici e distributivi sempre più insostenibili, dal punto di vista ambientale, sociale ed economico.
Devono quindi necessariamente essere presi a riferimento ed approfonditi importanti principi essenziali, di cui se ne riporta una sintesi (non esaustiva):
- la salubrità e la sostenibilità ambientale dei processi di produzione (in senso lato, a partire dai mezzi tecnici),
- il riequilibrio ecologico degli agro-sistemi e del complessivo territorio rurale (tutela dei beni pubblici),
- la responsabilità e l’equità sociale dei sistemi produttivi e di consumo,
- la qualità e la bontà dei prodotti biologici, cioè le loro proprietà salutistiche ed organolettiche, estese agli aspetti di genuinità e tipicità.
Ognuno di questi principi generali presuppone obiettivi specifici, che meritano di essere definiti ed argomentati dovutamente. E’ questo in gran parte il programma di attività della “rete sociale Humus”, caratterizzato dalle linee di azione sintetizzate nei punti successivi. Sono:
- la descrizione (narrazione) dell’agricoltura biologica autenticamente italiana, dei suoi tratti qualificanti e dei suoi prodotti, a supporto dei processi organizzativi, della produzione e della corretta informazione dell’opinione pubblica,
- la regolamentazione dei processi di produzione,
- la costituzione di un patto fra produttori e consumatori, distinto da metodi e sistemi di trasparenza partecipati, orientati alla garanzia dei processi e dei prodotti,
- la messa a punto di strumenti partecipati ed interattivi di condivisione, finalizzati alla garanzia ed alla certificazione dei prodotti.
Uno dei risultati che si vuole ottenere è quello di mettere a disposizione delle aziende agrobiologiche e dei consumatori metodi, sistemi e strumenti in grado di rendere tangibile la valenza ambientale, salutistica ed etica dell’agricoltura biologica e dei suoi prodotti.
Tali processi saranno possibili solo attivando metodicamente un percorso di analisi ed elaborazione, partecipato da organizzazioni, associazioni, gruppi e singole personalità in grado di rappresentare significativamente i diversi ambiti del settore, fino alla gestione delle fasi post-consumo. Si tratterà di lavorare insieme per ritrovare elementi di riconoscibilità sul territorio, elementi attorno ai quali ricompattarsi e dai quali far ripartire la credibilità di un approccio originale, elementi attorno ai quali convogliare cittadini consumatori e cittadini produttori in un contesto sano di identificazione. Un contesto che, pur essendo mutati i tempi rispetto agli anni 70/80, ritorni ad essere tessuto fertile di comunicazione tra gli attori della filiera.
Humus, rete sociale e produttiva
La rete sociale (social network) è costituita da un insieme (o da insiemi) di attori sociali e di relazioni definite tra tale insieme di attori. Le reti sono quindi strutture relazionali tra attori ed in quanto tali costituiscono una forma sociale rilevante, che definisce il contesto in cui si muovono quegli stessi attori.
Elementi costitutivi della rete sociale sono dunque:
– i soggetti, che rappresentano le unità, i nodi che compongono la rete (possono essere individui, gruppi, posizioni, luoghi, istituzioni);
– le relazioni, che legano i soggetti che compongono la rete.
Con riferimento al contenuto della relazione è possibile cogliere ed individuare alcune particolari reti che, per il tipo di legami che le costituiscono, si caratterizzano per essere reti di sostegno (supporto sociale), reti formali (costituite da istituzioni sociali), reti informali (che non presentano una veste istituzionalmente definita), reti primarie (costituite da relazioni “faccia a faccia” in virtù dei legami naturali che accomunano gli individui – rapporti familiari, parentali, amicali, di vicinato), reti secondarie (costituite da relazioni di conoscenza indiretta), reti complesse (reti scale free, reti small world), reti personali (reti ego-centrate), reti totali (reti complete).
Humus aspira a costituire una rete sociale, assumendo obiettivi, contenuti e forme organizzate dell’economia eco-solidale. La caratterizzazione che si intende perseguire fa riferimento al profilo richiamato da A. Saroldi nel suo lavoro “Il capitale delle relazioni”.
La Rete sociale Humus ”si costruisce attraverso un modello di rete dove le realtà sociali che la compongono collaborano tra loro per arrivare a riorganizzare i flussi economici, culturali e valoriali attraverso un percorso dialogico, nel rispetto dell’autonomia dei singoli componenti la rete stessa.
Il modello di rete è per sua natura distribuito.
Le reti, al proprio interno e sul territorio in cui operano, favoriscono e promuovono:
- la partecipazione attiva di ciascun membro;
- la condivisione delle decisioni e della responsabilità;
- la cooperazione;
- l’auto-organizzazione;
- l’adattamento ai cambiamenti;
- il senso del limite la rete funziona solo se è in grado di permettere relazioni stabili tra i suoi componenti);
- la democrazia interna e il senso di cittadinanza attiva;
- l’inclusione di esperienze e prassi omogenee”.