La fertilità dei suoli va difesa… anche dalla burocrazia!
E’ recentemente stato pubblicato il DM 6793/18 che va a sostituire il precedente 18354/09 in materia di successioni delle culture. In questo ambito dei danni erano stati già creati dal primo decreto, che senza precedenti in Italia e in tutta Europa dettava le regole per la rotazione agronomica, immediatamente criticato da tutti in quanto valutato molto rigido e poco rispondente ai bisogni reali imporre una regola di rotazione “per legge”.
Oggi la nuova norma va oltre andando a rappresentare una nuova sconfitta dell’intero mondo bio.
La novità che viene introdotta è che le colture leguminose che devono far parte della rotazione dovranno essere “principali”, cioè annuali. Si escludono di fatto ai fini della rotazione minima ammessa dalle norme le colture di leguminose “intercalari”, che cioè coprono il terreno fra due colture principali. Non è cosa da poco, per diversi ordini di motivi. In primo luogo una coltura leguminosa annuale se portata a termine con una raccolta del prodotto finale si comporta non proprio come una vera e propria miglioratrice, sicuramente meno che del sovescio intercalare. Se invece viene gestita su base annuale come sovescio comporta si un vantaggio per la fertilità, ma un notevole costo per l’azienda, che per un anno da quel terreno avrebbe solo dei costi.
Vi è poi da considerare che il superamento delle colture intercalari mette a rischio la copertura dei terreni nei periodi autunno-vernini, quelli maggiormente esposti agli agenti atmosferici… non proprio un bel risultato per un metodo che dovrebbe tutelare il territorio ed i suoi equilibri.
Risulta evidente come in questa Italia in cui ci sono numerosi virtuosi agricoltori e qualche pecora nera, queste ultime abbiano immediatamente trovato il modo per aggirare l’ostacolo della norma “simulando” rotazioni con sovesci di leguminose. Cosa dovrebbe essere fatto allora per controllare questi “bio-furbi”? La strada migliore sarebbe allora imporre una rotazione con un adeguato bilancio della sostanza organica, con un’alternanza tra specie miglioratrici e depauperatrici nell’arco di 5 successioni colturalio una strada simile.
Sembra tuttavia che una strada di questo tipo sia troppo complessa da controllare “sul campo” e si sia deciso perciò di dare una regola di una estrema semplicità di formulazione ma che di fatto ostacola ancor di più le pratiche agronomiche virtuose.
L’agricoltura biologica deve essere verificata e valutata per la sua capacità di accrescere e tutelare la fertilità organica del suolo e non sulla base di sterili regole burocratiche.
Chiediamo subito una correzione della nuova norma!
Difendiamo i nostri terreni, la nostra fertilità, il nostro humus!
Maurizio Agostino – Presidente Rete Humus